Contrattempi e fuoriprogramma: colpa del caso o colpo di fortuna?


Cosa sarebbe stata l’Odissea, se Ulisse da Troia se ne fosse tornato dritto a casa, senza che gli si mettessero di traverso gli dei e il fato? Il suo viaggio è un’apoteosi di contrattempi e fuoriprogramma. Ulisse viene indicato con epiteti fissi (definizioni usate per riferirsi a lui senza nominarlo) che sono chiaro sintomo di astuzia: uomo dai «mille inganni» (in greco antico: πολυμήτις, polymétis), «ingegnoso» (πολυμήχανος, polyméchanos), insomma, non è uno che si fa fregare facilmente. Eppure neanche lui riesce a prevedere ed evitare di peregrinare per molti anni prima di poter tornare a Itaca.

Sotto questa luce sembra del tutto vano e vanesio ogni nostro tentativo di pianificare un viaggio. E non solo quello.

Anziché lasciarsi andare allo sconforto o alla rassegnazione, meglio partire già con l’idea che qualcosa non andrà come ce la siamo immaginata, pre-vista, pianificata. Riuscire a ribaltare la prospettiva è un’arte che va praticata costantemente.

Uno degli imprevisti migliori che mi sia capitato nei miei viaggi è stato l’allagamento della pista all’aeroporto di Iquitos, l’anno scorso, nel cuore della foresta amazzonica, in Perù.


Stando alla meteorologia, tra febbraio e marzo la stagione delle piogge volge al termine. Gli acquazzoni sono meno frequenti e meno violenti, ma l’acqua rende impraticabili le vie di terra, lasciando due opzioni per muoversi: la barca o l’aereo. Per spostarci da Iquitos (che si trova in piena foresta amazzonica) ai villaggi che intendiamo visitare lungo lo Yavarì prenotiamo 6 biglietti per un volo dall’aeroporto militare della città. Il mese prima di partire accumulo mail su mail, su messaggi WhatsApp, e scambi via messager tra Giovanni, che ha organizzato il viaggio, ma nel frattempo è in Argentina, la nostra guida che vive a Iquitos e gli altri membri del gruppo, con la Bea che è già in giro per il Perù da qualche settimana.

Porto con me l’operativo viaggi di tutti (ognuno arriva da aeroporti diversi), doppia copia dei biglietti aerei, una per me e una per ogni compare, copia dei passaporti. Scaramanticamente mi registro persino, e con me tutti gli altri, sul sito della Farnesina. La prima parte del viaggio va via liscia: ci ritroviamo tutti puntualmente a Iquitos. Qui compriamo amache, stivali e quel che ci manca. Componiamo il bagaglio con attenzione, perché i chili che possiamo portare sul piccolo aereo sono limitati e ogni aggiunta è a peso d’oro. Ci presentiamo in largo anticipo all’imbarco, felici che tutto vada secondo i nostri piani.

Ma eccolo lì, ad aspettarci, l’imprevisto che ci terrà a terra per un lungo preziosissimo giorno: le piste sono piene d’acqua. Non parte e non arriva nulla. Dopo qualche ora passata a contrattare, riusciamo a farci mettere sul volo ri-pianificato per il giorno successivo, in idrovolante, che decollerà pioggia permettendo. I militari della base sono già al lavoro per preparare il mezzo, l’unico in grado di alzarsi in aria.

Dopo una notte passata a sperare e qualche ora di nervosa attesa in aeroporto, aspettando che spiova, riusciamo a partire. L’oceano di alberi e piante sotto di noi è indescrivibile nella sua immensità. Dopo un’ora planiamo come un enorme uccello nel cuore della foresta con l’atterraggio più spettacolare che si possa immaginare: morbido, quasi silenzioso, senza scosse, tra due quinte di verde su un nastro di acqua color ocra.

Solo dopo vediamo le case, la gente coi borsoni e le valigie, i bambini che affollano il pontile. Aspettano da ieri, chi per andare in città a comprare qualcosa di introvabile qui nel mezzo della foresta, qualcuno per andare in ospedale. Il dottore di turno, dall’aria stanca e un po’ sdrucito, capelli e barba lunghi, aspetta il suo rimpiazzo che, in camicia bianca, impomatato e sbarbato, viaggiava con noi. Alcuni sono lì per ritirare un pacco: pezzi di motore, attrezzi, persino televisori al plasma di proporzioni ragguardevoli. Sbarcati noi e scaricata la stiva, solo 14 persone saliranno a bordo dell’idrovolante. Gli altri dovranno aspettare la settimana prossima.

L’attesa in molte parti del mondo è la quotidianità. Siamo noi, campioni del “just in time”, che non sappiamo più cosa sia e ci facciamo prendere dal panico. Ma quanto meno interessanti sono le cose che vanno lisce lisce, secondo i programmi? O se preferite, quanto seducenti sono le cose che vanno per conto loro, senza seguire troppo la scaletta, riuscendo a sorprenderci ribaltando le nostre aspettative?


Prima del viaggio si scrutano gli orari,

le coincidenze, le soste, le pernottazioni

e le prenotazioni [….] si scambiano valute,

[….] si controllano valigie e passaporti […]

E poi si parte e tutto è OK e tutto

è per il meglio e inutile.

E ora che ne sarà

del mio viaggio?

Troppo accuratamente l’ho studiato

senza saperne nulla. Un imprevisto

è la sola speranza. Ma mi dicono

che è una stoltezza dirselo.

Eugenio Montale, Prima del viaggio, da Satura 1971


LIBRO CONSIGLIATO: La caduta del cielo, di Davi Kopenawa

COLONNA SONORA: Canopy Soundscape near Iquitos, dal progetto (grandioso) Nature Soundmap

ACCOMPAGNATO DA: arroz con uova, platano e yucca fritti. Qui vi metto una ricetta per il platano fritto e qui una per la yucca, anche se non sarà mai come mangiarli dondolandosi su un’amaca nel mezzo della foresta.


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