Per arrivare là, dove nessun uomo è mai giunto prima


Bruce Chatwin, cercando di spiegare il bisogno di viaggiare che abbiamo, scrisse “L’uomo, umanizzandosi, aveva acquisito insieme alle gambe diritte e al passo aitante un istinto migratorio, l’impulso a varcare lunghe distanze nel corso delle stagioni; questo impulso era inseparabile dal sistema nervoso centrale; e quando era tarpato da condizioni di vita sedentarie trovava sfogo nella violenza, nell’avidità, nella ricerca di prestigio o nella smania del nuovo.”

Di certo non sappiamo molto sui primi Sapiens, ma da più parti la natura nomade dei primi gruppi sociali umani è data per assodata. Un tempo ci si metteva in viaggio per procurarsi il cibo, dietro alle mandrie di animali che non avevamo ancora domesticato. Gli spostamenti erano regolari, ciclici in base all’andamento delle piogge e delle stagioni.

Poi, ad un certo punto, gradualmente, ci siamo “fermati”. Con la scelta di una casa, domus, siamo diventati domestici e abbiamo addomesticato, passando ad economie più stanziali. Ma l’istinto al movimento è rimasto comunque radicato nella nostra corteccia cerebrale, epicentro anatomico della nostra irrequietezza.


C’è un sito archeologico in Turchia, Göbeklitepe, la “Collina Panciuta”, che racconta di questa trasformazione. Un salto in dietro nel tempo di 12 mila anni. Oggi più simile ad un grande ombelico che a una pancia (traduzione di göbek), il grande scavo narra di quando animali ormai scomparsi rappresentavano la quotidianità per gli uomini che in quell’area costruirono per la prima volta un edificio religioso. La datazione è sorprendente e ha gettato nello scompiglio non pochi studi e studiosi: siamo tra il 9600 e il 8200 a.C.

Per capirci: altri esempi di luoghi più antichi che testimoniano la presenza umana sono grotte, mentre le strutture edificate dalla mano dell’uomo finora rinvenute sono ben più recenti (tra i più famosi: il tumulo di Newgrange in Irlanda fu eretto nel 3200 a.C., Stonehenge nel 3000 a.C., la Grande Piramide di Giza risale al 2560 a.C.). Per il momento Göbeklitepe viene considerato il primo edificio religioso e il più antico sito megalitico al mondo.

Agricoltura e allevamento nacquero a poche decine di chilometri da qui, nelle pianure dell’Anatolia orientale, la Mezza Luna Fertile, tra Tigri ed Eufrate. L’uomo cominciò a cambiare vita e da nomade, cacciatore e raccoglitore, divenne agricoltore e allevatore.

Da allora abbiamo continuato a spostarci, certo, perché di mondo da scoprire, ce n’era ancora tantissimo. La Natura, in tutte le sue manifestazioni, continuava ad essere la divinità da placare e blandire. Gli sciamani, seduti in trance sui loro tappeti, compivano viaggi nello spazio e nel tempo per raggiungere gli spiriti e contrattarne i favori. E forse da qui e dall’uso di avvolgere il corpo dei defunti in tappeti dai disegni simbolici, per accompagnarli nell’aldilà, nasce la suggestione dei tappeti volanti e le loro proprietà magiche. La metafora della tessitura accomuna questo antico manufatto al lavoro delle Moire (le Parche latine), che tessevano il destino della vita umana. I nodi, l’intreccio, i colori, i disegni sono quindi potenti strumenti per fare di un oggetto di uso comune un mezzo di comunicazione con mondi lontani nello spazio e nel tempo.

Ed ecco allora i riti sciamanici di guarigione legati al Tappeto del Mondo, la terra che si trasfigura e diviene spazio di preghiera (come per i Musulmani), o i racconti di viaggi fantastici che popolano le favole della narrativa medio-orientale. La possibilità di spostarsi velocemente nello spazio e nel tempo è un sogno che si perpetua dal tappeto volante alle astronavi della fantascienza. E se in moltissimi oggi conoscono la saga di Star Trek, forse non tutti sanno che tra i primi a usare il teletrasporto su un tappeto volante fu Re Salomone.

Per la cronaca, il tappeto più antico al mondo, arrivato quasi intatto fino a noi, risale al V secolo a.C. Rinvenuto congelato, nel 1949, durante gli scavi di una tomba sui monti Altaj, a sud di Novosibirsk, nella valle di Pazyryk, custodiva le spoglie di un nobile Scita, tribù seminomade che abitava le distese dell’Eurasia a nord della Grecia, Mesopotamia, Persia e Cina. Oggi il tappeto di Pazyryk si trova qui al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo. Non sarà volante, ma di strada ne ha fatta tanta.


LIBRO CONSIGLIATO: Sapiens. Da animali a dei, di Yuval Noa Harari

COLONNA SONORA: Musica Sufi

ACCOMPAGNATO DA: innumerevoli bicchieri di çay (tè), orta kahve (caffè in tazza alla turca), oppure, in inverno una bella tazza di sahlep (bevanda ottenuta sciogliendo della farina sahlep, derivata dalle radici di un’orchidea selvatica, in una tazza di latte caldo e cannella).