In Tunisia, tra le oasi che fronteggiano le sabbie del Sahara


La Tunisia, incuneata nel cuore del Nordafrica, tra il blu del Mediterraneo e la sconfinata distesa sabbiosa del Sahara, ha nelle sue oasi un patrimonio di tradizioni, risorse e biodiversità che sta cercando di valorizzare attraverso una serie di progetti di salvaguardia e sviluppo sostenibile. 

Con un’estensione complessiva di 40.800 ettari, le oasi ospitano circa il 10% della popolazione tunisina. Distinte in oasi del Sahara (76,8%), montane (5,8%) e litoranee (17,3%), sono classificate in tradizionali e moderne.

Le prime, irrigate da falde acquifere i cui livelli si stanno abbassando considerevolmente, in genere sono costituite da vecchie piantagioni, di piccole dimensioni e frammentate, con una superficie vegetativa a tre strati (suolo, vegetazione, alberi da frutta e palme), alta densità di alberi (circa 400 per ettaro), ma raccolti poco abbondanti.



Di contro quelle moderne, oggi circa il 50%, sviluppate negli ultimi decenni con la creazione di nuovi perimetri irrigati dedicati alla coltivazione delle palme da dattero (prevalente è la monocoltura della palma da dattero Deglet Nour), hanno un’estensione media più ampia, densità di piante inferiore (100-125 alberi per ettaro), produttività più alta. Si trovano in genere a valle delle oasi tradizionali, vengono irrigate utilizzando falde di profondità e drenando acqua fossile. Spesso sono illegali e non controllate, e competono con effetti negativi con quelle tradizionali.

Per questo motivo il Ministero degli Affari Locali e dell’Ambiente nel corso degli anni ha attivato e messo in programma una serie di progetti per la salvaguardi delle oasi tradizionali e controllo di quelle moderne, con l’intento di generare delle ricadute benefiche su diversi piani.

Finanziato dalla Banca Mondiale e dal Fondo per l’ambiente, il primo piano quinquennale denominato “Ecoturismo e conservazione della Biodiversità del deserto in Tunisia” (Ecotourism and Conservation of Desert Biodiversity) ha come scopo di contribuire alla conservazione della diversità e la durabilità delle terre desertiche attraverso una gestione delle risorse naturali e degli ecosistemi nelle aree individuate, con investimenti in progetti di turismo ecosostenibile e la creazione di meccanismi per favorire lo sviluppo del settore privato.

Al momento sono stati finanziati 226 microprogetti, di cui 197 espressi da micro-imprese e 29 su base comunitaria.

Il secondo piano, denominato invece “Progetto di gestione sostenibile del paesaggio delle oasi” (Sustainable Oasis Landscape Management Project), è dedicato alla salvaguardia, protezione e sviluppo dell’ecosistema delle oasi, della loro biodiversità, ma anche del paesaggio e del retroterra culturale che esprimono da secoli, e garantire così il loro ruolo, fondamentale e storico, di teatro delle attività umane sociali ed economiche nella regione.

Particolare attenzione è rivolta alle donne, che hanno sempre avuto un ruolo di rilievo nelle economie rurali, ma spesso con un carico di ore di lavoro più gravoso degli uomini, a fronte di salari inferiori e un diverso accesso al credito, all’istruzione e alle risorse in genere.



Prima della crisi finanziaria globale e della rivoluzione dei Gelsomini del 2010-11, la Tunisia, che aveva investito in modo significativo in settori chiave della società, era una delle economie maggiormente in crescita all’interno della regione MENA (Middle East and North Africa). Attiva fin dagli anni ’60 nella promozione dei diritti femminili e l’accesso delle donne a formazione e sanità, nel 2014 ha adottato una Costituzione considerata tra le più progressiste nel mondo arabo e musulmano.

Almeno sulla carta si garantiscono equità per tutti i cittadini (articolo 20), condizioni di lavoro umane e parità di salario (articolo 40), mentre nel 2016 l’articolo 49 viene modificato per garantire alle donne maggiore partecipazione alle politiche locali. 

La realizzazione di questi progetti si inserisce nell’ottica del miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni di questi territori, in particolare, ma del paese in generale, perseguendo politiche di adattamento alle sfide innescate dai cambiamenti climatici, per scardinare i rischi di derive politiche ed economiche, ed arrivare ad una nuova rinascita. 


LIBRO CONSIGLIATO: Il tè nel deserto, di Paul Bowles

COLONNA SONORA: The sheltering sky, di Ryūichi Sakamoto

ACCOMPAGNATO DA: Brick tunisienne à l’oeuf (la ricetta qui). Per la preparazione della pasta da brick, trovate qui tutte le indicazioni.


Io a Kairouan (in arabo: القيروان‎, al-Qayrawān), in una bella foto fatta dalla mia amica Greta
(seguitela sul suo blog The Greta Escape)

Contrattempi e fuoriprogramma: colpa del caso o colpo di fortuna?


Cosa sarebbe stata l’Odissea, se Ulisse da Troia se ne fosse tornato dritto a casa, senza che gli si mettessero di traverso gli dei e il fato? Il suo viaggio è un’apoteosi di contrattempi e fuoriprogramma. Ulisse viene indicato con epiteti fissi (definizioni usate per riferirsi a lui senza nominarlo) che sono chiaro sintomo di astuzia: uomo dai «mille inganni» (in greco antico: πολυμήτις, polymétis), «ingegnoso» (πολυμήχανος, polyméchanos), insomma, non è uno che si fa fregare facilmente. Eppure neanche lui riesce a prevedere ed evitare di peregrinare per molti anni prima di poter tornare a Itaca.

Sotto questa luce sembra del tutto vano e vanesio ogni nostro tentativo di pianificare un viaggio. E non solo quello.

Anziché lasciarsi andare allo sconforto o alla rassegnazione, meglio partire già con l’idea che qualcosa non andrà come ce la siamo immaginata, pre-vista, pianificata. Riuscire a ribaltare la prospettiva è un’arte che va praticata costantemente.

Uno degli imprevisti migliori che mi sia capitato nei miei viaggi è stato l’allagamento della pista all’aeroporto di Iquitos, l’anno scorso, nel cuore della foresta amazzonica, in Perù.


Stando alla meteorologia, tra febbraio e marzo la stagione delle piogge volge al termine. Gli acquazzoni sono meno frequenti e meno violenti, ma l’acqua rende impraticabili le vie di terra, lasciando due opzioni per muoversi: la barca o l’aereo. Per spostarci da Iquitos (che si trova in piena foresta amazzonica) ai villaggi che intendiamo visitare lungo lo Yavarì prenotiamo 6 biglietti per un volo dall’aeroporto militare della città. Il mese prima di partire accumulo mail su mail, su messaggi WhatsApp, e scambi via messager tra Giovanni, che ha organizzato il viaggio, ma nel frattempo è in Argentina, la nostra guida che vive a Iquitos e gli altri membri del gruppo, con la Bea che è già in giro per il Perù da qualche settimana.

Porto con me l’operativo viaggi di tutti (ognuno arriva da aeroporti diversi), doppia copia dei biglietti aerei, una per me e una per ogni compare, copia dei passaporti. Scaramanticamente mi registro persino, e con me tutti gli altri, sul sito della Farnesina. La prima parte del viaggio va via liscia: ci ritroviamo tutti puntualmente a Iquitos. Qui compriamo amache, stivali e quel che ci manca. Componiamo il bagaglio con attenzione, perché i chili che possiamo portare sul piccolo aereo sono limitati e ogni aggiunta è a peso d’oro. Ci presentiamo in largo anticipo all’imbarco, felici che tutto vada secondo i nostri piani.

Ma eccolo lì, ad aspettarci, l’imprevisto che ci terrà a terra per un lungo preziosissimo giorno: le piste sono piene d’acqua. Non parte e non arriva nulla. Dopo qualche ora passata a contrattare, riusciamo a farci mettere sul volo ri-pianificato per il giorno successivo, in idrovolante, che decollerà pioggia permettendo. I militari della base sono già al lavoro per preparare il mezzo, l’unico in grado di alzarsi in aria.

Dopo una notte passata a sperare e qualche ora di nervosa attesa in aeroporto, aspettando che spiova, riusciamo a partire. L’oceano di alberi e piante sotto di noi è indescrivibile nella sua immensità. Dopo un’ora planiamo come un enorme uccello nel cuore della foresta con l’atterraggio più spettacolare che si possa immaginare: morbido, quasi silenzioso, senza scosse, tra due quinte di verde su un nastro di acqua color ocra.

Solo dopo vediamo le case, la gente coi borsoni e le valigie, i bambini che affollano il pontile. Aspettano da ieri, chi per andare in città a comprare qualcosa di introvabile qui nel mezzo della foresta, qualcuno per andare in ospedale. Il dottore di turno, dall’aria stanca e un po’ sdrucito, capelli e barba lunghi, aspetta il suo rimpiazzo che, in camicia bianca, impomatato e sbarbato, viaggiava con noi. Alcuni sono lì per ritirare un pacco: pezzi di motore, attrezzi, persino televisori al plasma di proporzioni ragguardevoli. Sbarcati noi e scaricata la stiva, solo 14 persone saliranno a bordo dell’idrovolante. Gli altri dovranno aspettare la settimana prossima.

L’attesa in molte parti del mondo è la quotidianità. Siamo noi, campioni del “just in time”, che non sappiamo più cosa sia e ci facciamo prendere dal panico. Ma quanto meno interessanti sono le cose che vanno lisce lisce, secondo i programmi? O se preferite, quanto seducenti sono le cose che vanno per conto loro, senza seguire troppo la scaletta, riuscendo a sorprenderci ribaltando le nostre aspettative?


Prima del viaggio si scrutano gli orari,

le coincidenze, le soste, le pernottazioni

e le prenotazioni [….] si scambiano valute,

[….] si controllano valigie e passaporti […]

E poi si parte e tutto è OK e tutto

è per il meglio e inutile.

E ora che ne sarà

del mio viaggio?

Troppo accuratamente l’ho studiato

senza saperne nulla. Un imprevisto

è la sola speranza. Ma mi dicono

che è una stoltezza dirselo.

Eugenio Montale, Prima del viaggio, da Satura 1971


LIBRO CONSIGLIATO: La caduta del cielo, di Davi Kopenawa

COLONNA SONORA: Canopy Soundscape near Iquitos, dal progetto (grandioso) Nature Soundmap

ACCOMPAGNATO DA: arroz con uova, platano e yucca fritti. Qui vi metto una ricetta per il platano fritto e qui una per la yucca, anche se non sarà mai come mangiarli dondolandosi su un’amaca nel mezzo della foresta.


#Iorestoacasa, certo, ma il mio mantra è #torneremoaviaggiare.

Siamo fermi. A casa. A terra.

Viaggi cancellati. Voli annullati. Bagagli disfati.

Siamo in castigo. La natura ci ha messo in un angolo a meditare sulle nostre malefatte. Inutile recriminare. Siamo fermi e ci resteremo per un po’. A data da definirsi.

Programmi, progetti, prenotazioni sono stati rimpiazzati da vaghe previsioni.

Una reclusione che ci farà venire ancora più voglia di partire, ma che sarebbe un peccato non sfruttare per ripensare anche il nostro modo di viaggiare. E per renderlo più sostenibile.

Possiamo disperarci per questo stop forzato, oppure possiamo prendere in mano il mappamondo, indagare cartine, costruire nuove strade, immaginare traiettorie alternative.

#torneremoaviaggiare
Padrão dos Descobrimentos, Belém, Lisbona

In questo blog vorrei riempire il vuoto del #iorestoacasa e accompagnarvi a immaginare cosa faremo quando finalmente #torneremoaviaggiare.

Cerco compagni di viaggio con cui condividere evasioni virtuali in giro per il mondo. Brevi incursioni nei paesi che amo di più, per scoprire storie, libri, arte, musica, cibo.

Allacciate le cinture di sicurezza. Cabin Crew ready to take off.

LIBRO CONSIGLIATO: Che ci faccio qui?, di Bruce Chatwin

COLONNA SONORA: Hitch Hikin’, di Bruce Springsteen (Western Stars, 2019)


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