Attributi locali e contributi globali


Il concetto di “tribù” generalmente viene associato a qualcosa di primitivo o esotico, retaggio linguistico dell’etnologia evoluzionista del 19esimo secolo.

Il termine, per come ci arriva dal latino “tribus” (tribǔs, tribūs, sostantivo femminile, IV declinazione), stava ad indicare una delle tre stirpi originarie dei liberi cittadini romani, ovvero Latini, Etruschi e Sabini, e passò successivamente a designare le suddivisioni territoriali e amministrative dello stato.

Da qui i tributi, le tribune, i tribunali. Ma anche gli attributi e i contributi. C’è poi la distribuzione e la retribuzione.

Alla base di tutto, in sostanza, c’è una comunità, una porzione di società umana, piccola o grande, che condivide qualcosa. Dal punto di vista antropologico si parla di lingua, ordine sociale e politico, sistema di valori comune. Ma può essere uno stile di vita per le tribù urbane.

Nei viaggi, a meno di non recarsi in solitaria in un luogo remoto e isolato, l’incontro con una tribù è imprescindibile. Che siano i Toraja dell’Indonesia, i ragazzi vestiti come nei fumetti per le vie di Harajuku a Tōkyō, o gli hipster dei quartieri green inglesi, quando usciamo dalla nostra quotidianità inevitabilmente entriamo in quella di un’altra tribù.

Durante il viaggio in Amazzonia peruviana, quello del famoso imprevisto, ho incontrato, proprio grazie a questo imprevisto, diverse realtà, tanto lontane dalla mia per modo di vivere, credenze, lingua e abitudini. Eppure non posso fare a meno di pensare a quanto strana sarà sembrata a queste persone la tribù che rappresentavo io insieme ai miei compagni di viaggio: tutti vestiti da capo a piedi (per evitare di farci mangiare dai moscerini – vana speranza), in colori mimetici, dotati di ingombranti zaini e di un terzo occhio (macchina fotografica).

Questo non ha impedito a Carlos di accoglierci nel cuore della notte nel suo minuscolo villaggio. Siamo arrivati via fiume, nel buio pesto, sotto l’acqua, abbiamo allarmato i cani e svegliato tutti (una decina di persone). Ci ha offerto subito ospitalità nella vecchia maloca, capanna tradizionale collettiva al centro del villaggio. Il giorno successivo ci ha portato in giro per mostrarci le piante medicinali che sono un vanto della comunità e di cui si sta cercando di preservare il sapere.

Qualche giorno dopo, lasciato Carlos e i suoi tra abbracci e strette di mano, ci siamo spostati ulteriormente lungo il fiume. Per poter restare qualche giorno in uno dei villaggi che abbiamo visitato, abbiamo dovuto aspettare qualche ora che il capo tornasse dal lavoro nella foresta e spiegargli il motivo della nostra visita. Lui ci ha ascoltato e dato il suo benestare, ma ha aggiunto che bisognava avere il permesso dell’intero villaggio. Ha quindi radunato tutti, bambini compresi, nella grande “sala comune” per discutere la nostra presenza e verificare che stesse bene a tutti. Ci siamo dovuti presentare uno ad uno e spiegare perché eravamo lì, in mezzo alla foresta, cosa volevamo da loro, che uso avremmo fatto delle nostre fotografie.

Alla fine della serata, ci hanno aperto le porte di una delle capanne e permesso di attaccare le nostre amache per dormire. Nei giorni successivi ci hanno guidato nella foresta indicandoci l’infinito patrimonio di animali e piante, noi abbiamo mostrato loro le nostre foto, coi bambini che, a ogni immagine del mio pastore tedesco sul display del telefono, esplodevano in un “es un lobo!”.


Ora, ripenso a questo viaggio come a un sogno. Così remoti, così lontani dentro quella meravigliosa barriera di alberi e acqua, ho creduto, ho sperato che rimanessero al sicuro dalla pandemia. Invece le notizie che arrivano non sono buone. Si moltiplicano gli allarmi. Ce ne parla Sebastião Salgado, con la forza del suo appello ai grandi del mondo, ci sono moltissime iniziative come la campagna mondiale #ForaGarimpoForaCovid (vedi articolo di Angelo Ferracuti su Il Corriere), e ci sono le voci di RADIO UCAMARA, piccola emittente che trasmette da Nauta, a un centinaio di km da Iquitos, nella foresta peruviana.

Ogni tribù ci permette di capire qualcosa in più di noi. Dal locale al globale. Ogni voce è un contributo, ogni peculiarità un attributo in più che ci arricchisce come specie. Ogni singola perdita una sconfitta per tutti.


LIBRO CONSIGLIATO: Genesi, di Sebastião Salgado

COLONNA SONORA: ascoltate direttamente le voci di Radio UCAMARA sul suo sito o sul loro canale YouTube.

Da Ojo Público

ACCOMPAGNATO DA: un bel bicchiere di Chapo, bevanda tipica dell’Amazzonia peruviana, a base di platano maturo. Qui la ricetta e qui un video di come viene prodotto localmente.


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